Partigiani sovietici in Italia


Furono all’incirca 5000 i soldatisovietici che fuggiti dai campi di prigionia nazisti parteciparono allaResistenza Italiana. Accadde pressoché in tutte le regioni italiane. Spessofurono protagonisti di veri atti di eroismo: 400 di loro morirono in combattimento, 4 furonoinsigniti di medaglia d'oro al valor militare, 3 di medaglia d'argento e 4 dimedaglia di bronzo. 700 di questi si trovavano in Piemonte. Nonostante ciò leloro vicende sono poco note. Studi locali hanno permesso di riconoscere volti,attribuire nomi, ricostruite aneddoti.  L’associazione Italia-Urssdi Torino, divenuta Russkij Mir nel 1991, conserva il documentario Ruka obRukuFianco a Fianco, realizzato da Anna Roberti eMarcello Varaldi, che ricostruisce la loro presenza a fianco dei partigianiitaliani.


La loro vicenda si lega strettamente alla figura di Nicola Grosa che, ex partigiano torinese, negli anni Sessanta andò per le montagne piemontesi a recuperare i corpi di chi era morto combattendo e aveva avuto sommaria sepoltura. Questi resti furono poi tumulati nel Campo della Gloria (Sacrario della Resistenza) del Cimitero Monumentale di Torino e, tra i più di 900 corpi recuperati da Grosa, molti sono quelli di partigiani stranieri,  per la maggior parte sovietici.
Il documentario parte da alcuni casi particolari (il nipote di un partigiano georgiano che cerca la tomba del nonno morto sul Colle del Lys, la storia dei russi e degli ucraini fucilati in Valle d'Aosta al bivio tra Nus e Fénis) per ampliare la visuale sul problema dei sovietici tumulati come ignoti o con i nomi storpiati e di cui si cerca di risalire alla vera identità, per completare l'opera di Grosa e consegnare le loro storie alla memoria dei contemporanei. 




Le loro sono storie di fatica, paura, abbandoni, dolcezza,amicizia. Nella migliore delle ipotesi ci sono stati fidanzamenti, matrimoni figli enipoti alcuni dei quali vivono ancora in Italia. Nella peggiore la loro vista si è conclusain battaglia. Come nel caso di Fëdor Andrianovič Poletaev, l’unico insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militaredella Repubblica Italiana, a cui ancora oggi vengono tributati onori: a Genova,dove è sepolto, e  a Cantalupo Ligure, in provincia di Alessandria,  dovevenne ucciso.


Era nato a Ryazan, il 14 maggio del 1909, da una famiglia diagricoltori. Viveva in un kolkhoz con la moglie e i figli dove si occupavadella manutenzione delle macchine agricole quando nel 1939 venne arruolatonell’Armata Rossa. Fu catturato dai tedeschi nel 1942 e dopo vari spostamentivenne trasferito in Italia. Nel luglio del 1944, mentre era internato in un campodi concentramento nei pressi di Tortona, entrò in contatto con  alcuni esponenti della Resistenza e fuggì con altriprigionieri sovietici dal campo di prigionia, raggiunse i partigiani sull'Appennino ligure e venne incorporato nel Distaccamento B. I. R. S.(Banda italo russa di sabotaggio) che faceva parte della 798 Brigata "A.Mazzarello". 

Nel mese di ottobre, su ordine del VI Comando di Zona, peresigenze tattiche, la Brigata fu sciolta e andò a combattere nella 58ª Brigata"Oreste" della Divisione Garibaldi "Cichero". L'8ottobre 1944, su ordine del comando della Brigata "Pinan"lasciò e andò a combattere nel nuovo Distaccamento" Nino Franchi". Il27 ottobre 1944 il suo distaccamento prese posizione a Roccaforte Ligure in val Borbera. Dopo aver superato i rastrellamenti nazifascistidell'inverno 1944-1945, venne ucciso nella Battaglia di Cantalupo il 2 febbraio 1945 mentre stava proteggendo ilmomentaneo arretramento di alcuni compagni. 




Il combattimento fu comunque vintodalle forze partigiane. Nel 1957  Giovanni Serbandini, excompagno del “Gigante Fëdor” come lo chiamavano i partigiani,  e direttore dell'edizione genovese de l'Unità, a causa delle precarie condizioni di salute andò a curarsiin Unione Sovietica, a Mosca. Durante la cura conobbe Sergej Smirnov, direttore dellaLiteraturnaja Gazeta e collaboratore della televisione di stato sovietica e gliparlò di questo sconosciuto partigiano sovietico che aveva combattuto in Italia. Smirnov diffuse la notizia per cercare la famiglia del caduto,che dopo qualche tempo fu rintracciata.
Invitata a Genova, la famiglia giunse in Italia il 2 febbraio 1963, accompagnata dall'ambasciatore sovietico in Italia Korizev e accolta dal sindaco di Genova Pertusio, che dedicò a Fëdor una piccola via, ViaFiodor, tra Corso Aurelio Saffi e Via Corsica, nei pressi della Fiera di Genova, nel quartiere di Carignano.

La salma di Fëdor fuportata a spalla dai suoi compagni, seguiti da tutti i contadini del villaggio,al cimitero di Rocchetta Ligure e da lì in seguito, spostata a Genova, alCimitero di Staglieno.




La sua storia è ben documentata e raccontata in documentariorealizzato dalla Municipalità di Ryazanin collaborazione con il Consolato Generale Russo e il Comune di Genova,che è stato proiettato il 2 febbraio scorso in occasione di un incontro daltitolo “Il contributo sovietico allaresistenza italiana tra Liguria e Basso Piemonte”. 


Sono stata di recente a Ryazan, dove ho partecipato allecelebrazioni del 9 maggio, Giorno della Vittoria, in memoria della resaincondizionata della Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondialeconosciuta anche come la Grande guerra patriottica, diventata Festa Nazionaledal 1965. Le celebrazioni hanno assunto un carattere di grande importanza daquando Putin è salito al potere ed hainiziato apromuovere il prestigio storico e culturale della Russia, le feste ecommemorazioni nazionali sono diventati una fonte di autostima per il popolo. Le celebrazioni hanno inizio con la deposizione delle corone di fiorisui monumenti ai caduti, proseguono con discorsi ufficiali, parate militari,omaggi ai veterani. Segue la marcia del Reggimento Immortale,  un corteo interminabile fatto di centinaia dimigliaia di persone che sfilano con i ritratti dei parenti caduti durante laguerra: 27 milioni di russi. Vengono letti i nomi delle persone ritratte e siintonano canti patriottici: Katjusa èquella più cantata. 


Composta da M.V. Isakovskij su musica di M. I. Blanter, èdiventata una canzone planetaria: racconta il lamento della ragazza che soffreperché il giovane amato è sotto le armi. Furono chiamati Katjusa, e così sìchiamano ancora, i lanciarazzi installati sugli autocarri, perché non c’era unsolo soldato russo che non la cantasse e che avesse a casa una Katjusa. Fischia il vento, la versione italiana,è diventata, insieme a Bella Ciao, la canzone della guerra partigiana. La giornata si conclude con una grande festa popolare che comprendeconcerti, balli e fuochi d’artificio finali. A Ryazan si è aggiunta ladeposizione di un cesto di fiori alla tomba di Fedor, a cui ha partecipato ilnipote che porta il suo nome. La delegazione genovese, di cui facevo parte, èstata accolta dall’Amministrazione della città con grande affetto, insieme airappresentanti delle città “eroine” dell’Unione Sovietica, insignite di questaonorificenza per l’eroismo dimostrato durante la guerra patriottica: Brest,Minsk, Smolensk, Kiev, Odessa, Murmansk, San Pietroburgo (Leningrado), Tula,Mosca, Sebastopoli, Kerc, Novorossijsk, Volvograd (Stalingrado), Lubiana. Aricordare la fratellanza con la nostra provincia è stata apposta, nell’Arbattdi Ryazan, una freccia che indica la direzione per Alessandria e la distanzakilometrica.


Tra i prigionieri fuggiti dai tedeschi lamattina dell’8 settembre del 1943 da un convoglio rimasto incustodito a RoncoScrivia e diretto verso la Germania si trovava anche Nikolaj Egorov, proveniente dal paesino di Shablykino (trascritto Sciubino)nella regione di Oryol, Russia Centrale. Insieme ai 5 compagni trovò rifugiopresso case di contadini ma per non esporli troppo al rischio di rappresaglie sitrasferì insieme agli altri all’Albergo Grande, una cascina abbandonata neipressi di Voltaggio. Qui furono raggiunti da Athos Bugliani (Lucio) unesponente del Partito Comunista ligure che li convinse ad unirsi ai partigianiche si stavano organizzando in bande contro i nazifascisti. Una sessantina diloro combatté nella Brigata Garibaldi, alcuni nella Brigata Berto e Jori; unasessantina nella divisione Pinan-Cichero, circa una quarantina nella divisioneMingo. Ai primi di gennaio del 1944, presso i Laghi della Lavagnina, fucostituita la 3° brigata Garibaldi Liguria: otto o nove degli uomini che lacomponevano erano sovietici che provenivano da Voltaggio.
Fu durante uno scontro a fuoco con una colonnadi tedeschi in transito a Molare che Nikolaj venne colpito al ventre da unascarica di mitra. Continuò comunque a sparare e ripiegando riuscì a salvarsi.Pu trovandosi in gravi condizioni insisté perché le cure fossero prestate primaai partigiani italiani. “I miei mi credono morto e se ora muoio non mipiangeranno una seconda volta”. Rimessosi in salute, continuò a combattere eappena liberata Genova chiese i documenti relativi alla sua partecipazione allaResistenza e tornò in URSS.

Tutto questo è documentato in I partigiani sovietici nella ResistenzaItaliana di Mauro Galleni, pubblicato dagli Editori Riuniti nel 1967, e in I partigiani sovietici della VI zona ligure,edito nel 30° anniversario della Resistenza dall’Associazione Italia – URSS,sezione di Genova. E le prove di quanto affermato, riguardo a Nikolaj, sitrovano nell’Archivio Ighina depositato presso la Biblioteca Civica di Ovada.
Intanto la foto che lo ritrae: un uomo nonmolto alto, tarchiato, biondo, e dotato di una volontà eccezionale, così comelo descrissero i suoi compagni. In particolare Pierino Ribichesu, comandante dibrigata nato a Ronco Scrivia. Sul retro della foto sono indicati Orel, comeregione di provenienza e il piccolo villaggio di Sciubino. E una data: 14maggio 1945.



E poi una lettera, datata 16 marzo del 1961,proveniente da Mosca, dal Comitato dei Veterani Sovietici, indirizzataall’allora Direttore dell’Ospedale Civile della Città di Ovada, il DottorEraldo Ighina. 



Il testo, tradotto dal russo, è il seguente:


Spettabile DottorIghina,
Al comitatosovietico degli ex combattenti e partigiani è divenuto noto che Lei rese ungrande servizio a Nikolaj Egorov, partigiano sovietico che durante laResistenza trovandosi nelle file della Brigata Garibaldina fu gravemente feritonel combattimento contro i nazifascisti e collocato nell’ospedale clandestinopartigiano. Ce ne hanno recentemente raccontato i dirigenti partigiani PieroMinetti “Mancini” e Francesco Capurro “Krasni”. Abbiamo trovato lo stessoNikolaj Egorov che risiede ora presso la città di Oriol (Orel), nella partecentrale della Russia. Lui pure ricorda bene e con riconoscenza che Lei,spettabile Dottor Ighina, come medico e come patriota, gli prestò un grandeaiuto, esponendosi a un rischio mortale.

Ciò fu possibile anche grazie allacollaborazione del Maresciallo Wolfgang Schmidt, interprete presso il Comandopresidio Germanico, in buoni rapporti con l’allora parroco Mons. FiorelloCavanna. Lo Schmitt da tempo collaborava con i partigiani, insiemeall’interprete tale Sig.na Rancati, fornendo importanti informazioni, ottenendola liberazione di giovani presi in rastrellamenti ed era riuscito ad evitarerappresaglie. Questo accadde anche nel caso di Nikolaj che venne portatoall’ospedale e poté essere curato sino a completa guarigione senza alcundisturbo, anche grazie alla promessa fatta dal Dott. Ighina al MarescialloSchmitt: avrebbe acconsentito al suo ricovero per disturbi di cui soffriva, nelcaso gli fosse giunto l’ordine di lasciare il presidio di Ovada. Tutto ciò èraccontato insieme a molto altro in una memoria a firma Stella, nome con cuitra i partigiani era nota Marie, la moglie del Dottor Ighina, anche questadepositata presso l’Archivio.
Nella memoria si fa riferimento anche allafigura di Ubaldo (Vincenzo Ravera) il quale, alla vigilia della Liberazione, fudecisivo nell’accordare il permesso che il Maresciallo Schmitt venissetrasferito dalle Madri Pie al Convento dei Padri Cappuccini e gli fosserorilasciati documenti che attestavano la sua collaborazione con il Comitato diLiberazione, documenti che furono rilasciati anche alla Sig.na Rancati così cheentrambi potessero essere lasciati liberi. La loro partenza fu preceduta da unincontro con la Commissione di Epurazione, dopo di che, accompagnati da MarioNalin, cassiere del CLN di Ovada, “democristiano antifascista che attraverso lapratica religiosa ambiva arrivare alla redenzione umana” (cit. Il memorialeritrovato di Pietro Minetti “Mancini”, L. Editrice) lasciarono la città.


Lo stesso “Krasni” ferito a Morbello, comeraccontato nel suo diario da “Mancini”, fu curato all’Ospedale di Ovada, controllatodai tedeschi. Medici, infermieri, suore e inservienti: tutti contribuirono allasalvezza di Krasni che rimase ricoverato sino alla Liberazione. “Chi teneva lefila di questa organizzazione era la moglie Estella (Marie Ighina), attivissimacollaboratrice della lotta di Liberazione” (cit. Piero Minetti “Mancini”). 

Vi sono poi varie dichiarazioni che attestanol’assistenza prestata dal Dr. Ighina in campo sanitario.
In una lettera del 23 novembre del 1944 firmatadal Commissario Politico e dal Comandante (Beppe) il Comando della 1° Brigata Astengo“esprime la sua riconoscenza di fronte al suo operato pieno di affettuosa efraterna solidarietà umana” nei confronti di un uomo della Brigata ferito amorte e ricoverato nell’Ospedale di Rossiglione.
Una del 1 maggio del 1945 pervenuta dal Comandodella Divisione Garibaldi “Mingo” che fa risalire il suo servizio prestatonella cura dei partigiani feriti e malati appartenenti a quella divisione apartire dal giugno del 1944, firmata dal Commissario di guerra Oscar Barillari (Ruggero), dal Capo di Stato Maggiore Achille PaoloCasetti (Simba) e dal Comandante Militare Gregorio Cupic (Boro).
In data 1 giugno 1945 il Comando Divisione“Viganò” riferisce “dell’assistenza prestata a rischio della propria vita aferiti ed ammalati partigiani tenendoli ricoverati anche periodi lunghissimi,nell’Ospedale Civile di Ovada”. Tra questi anche “Krasni, ferito e ricercatodalla Polizia, ricoverato in ospedale per un periodo di mesi cinque” e “l’ufficialedello S.M. Divisionale Franco, per un periodo di giorni 15”. La dichiarazione èfirmata dal Commissario di Guerra della Divisione Emilio Diana Crispi (Gino) edal Comandante della Divisione Aldo De Carlini (Piero).
Esiste poi una dichiarazione del 17 maggio 1945firmata da Carlo Milan, Comandante del 810th I.S. Distaccamento del Piemonte(l’IntelligenceService britannico per la cooperazione al servizio informazioni alleato) riferita a MarieIghina in cui si attesta che “ha appartenuto dal marzo 1945 alla liberazioneall’organizzazione “Augusto” di informazioni militari” e che “ la suacollaborazione è stata preziosa per lo svolgimento delle operazioni nelterritorio italiano”.

La lettera del Comitato Sovietico continuacosì:

A nome del ComitatoSovietico degli ex combattenti e partigiani abbiamo qui onore e piacere diringraziarLa cordialmente per quello che Lei, spinto dal sentimento dellasolidarietà fraterna, ed umana, con una particolare sollecitudine e amoretrattò il nostro connazionale Nikolaj Egorov e, comprendendo che contro di Leipotessero essere effettuate le repressioni da parte dei nazifascisti, gli salvòla vita. Questo fatto ci si presenta assai simbolico: ci dice che la Resistenzaantinazifascista aveva il carattere internazionale, che cittadini italiani equelli sovietici, fianco a fianco come fratelli, lottavano contro il comunenemico mortale, per la vittoria dei gloriosi ideali della Resistenza in nomedella vita, della pace e dell’amicizia fra i popoli nelle condizioni delprogresso e prosperità di tutta l’umanità.

Nel mese di maggio di quello stesso anno lalettera venne consegnata solennemente al Dott. Ighina dal Presidente dell’AssociazioneNazionale Partigiani d’Italia in una cerimonia a cui parteciparono i Membri piùrappresentativi dei Partigiani della zona e il Sindaco di Ovada Angelo Ferrari.A questo proposito vi furono numerosi scambi di lettere tra il Dr. Ighina e ivari soggetti coinvolti nella vicenda. La corrispondenza si interrompenell’agosto del 1961 con una lettera in cui la moglie Marie ringrazia ilComitato dei Veterani per “aver dimostrato in maniera tanto generosamentecommovente la Loro partecipazione al cordoglio per l’improvvisa ed immaturafine” del marito. E rivolge un pensiero anche al partigiano sovietico: “pregodi dire a Nicolaj che faccio voti di ogni bene per Lui e per la Famiglia Sua:che i Suoi Figli abbiano a crescere secondo il buon esempio che il Padre haloro dato”. 

Come nel 1961, la ricerca del soldato NivolajEgorov è ripartita.  I funzionari delleRelazioni Internazionali del Comune di Ryazan si sono offerti di aiutarmi. Nonè escluso, anche se difficile, sia ancora vivo. Perché? a che scopo farequesto? Perché oggi, grazie alla rete, è possibile ricostruire storie un tempodestinate all’oblio, dare nomi a volti altrimenti rimasti anonimi e crearelegami fondati su sentimenti di compassione, condivisione, solidarietà. Perchého voluto liberare questa storia dalle polveri di un archivio in cui ladistrazione di qualcuno l’aveva relegata? Perché credo, come ben espresso nellalettera proveniente da Mosca, nel valore universale della Resistenza, nelcontributo reso alla liberazione da più parti, le più diverse. Nel valore di unmessaggio che non basta tramandare, o celebrare, ma deve essere percepito comeun richiamo alla responsabilità personale.


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